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Paesaggi vulcanici del Nord Tanzania

La fascia settentrionale della Tanzania, a ridosso del bordo occidentale del Grande Rift Valley e a nord del cratere di Ngorongoro, è uno degli scenari geologici più straordinari e meno conosciuti dell’Africa orientale. Un territorio aspro e primordiale, dove la crosta terrestre sembra ancora in movimento e il paesaggio racconta, con la forza della materia, la storia geologica del continente. Qui, tra faglie, altipiani di lava e coni vulcanici che si innalzano come sentinelle nel vuoto, si percepisce con chiarezza l’origine della Terra. È una regione di confine, fisico e simbolico, dove la savana incontra il deserto e la vita sembra attaccarsi con ostinazione a un suolo duro, minerale, continuamente rimodellato dal fuoco e dall’acqua.

Il Rift tanzaniano è una frattura viva lunga migliaia di chilometri che attraversa l’Africa dal Mar Rosso al Mozambico. È la culla dell’umanità, il luogo dove i nostri antenati hanno imparato a camminare e a sopravvivere in equilibrio con la natura. Oggi questo corridoio geologico è anche un paradiso per i viaggiatori più curiosi e avventurosi: un mosaico di paesaggi estremi e di incontri autentici, lontani dalle rotte turistiche del Serengeti e di Ngorongoro.

Tra le sue meraviglie spicca lo stratovulcano di Ol Doinyo Lengai, la “Montagna di Dio” dei Maasai, l’unico vulcano attivo al mondo a emettere lava natrocarbonatitica, fredda e fluida come olio fuso. Ai suoi piedi si stende il Lago Natron, un immenso specchio alcalino che, a seconda della luce e della stagione, muta dal grigio lunare al rosa dei fenicotteri minori che vi nidificano a migliaia. Più a sud, il Monte Gelai e i coni vulcanici secondari del Rift offrono un affascinante paesaggio di colate pietrificate e crateri spenti. Non lontano sorgono le rovine irrigue di Engaruka, un antico insediamento agricolo pre-maasai che testimonia una civiltà perduta, capace di domare il suolo vulcanico con un ingegnoso sistema di canali.

Infine, scendendo verso ovest, le rive del Lago Eyasi ospitano gli Hadza, uno degli ultimi popoli di cacciatori-raccoglitori dell’Africa, custodi di un modo di vivere rimasto pressoché immutato da millenni. Il loro incontro rappresenta un tuffo nel tempo, un contatto diretto con le radici dell’umanità.

In questo articolo esploreremo a fondo cinque meraviglie di questa regione vulcanica — Ol Doinyo Lengai, Lago Natron, Monte Gelai e i coni della Rift, le rovine di Engaruka e il Lago Eyasi con gli Hadza — descrivendone la bellezza e la forza ancestrale, ma anche offrendo consigli e informazioni pratiche per chi desidera intraprendere un viaggio in uno degli angoli più remoti, intensi e autentici della Tanzania.

Qui sotto troverete tutto ciò che vi serve per partire alla scoperta del Grande Rift: Ol Doinyo Lengai, il Lago Natron e i vulcani che plasmano il paesaggio — tra natura estrema, storia e culture antiche

Ol Doinyo Lengai, il “Monte di Dio”

Ol Doinyo Lengai è un punto obbligato per chiunque voglia comprendere il volto più singolare del vulcanismo: è l’unico vulcano al mondo a eruttare lava natrocarbonatitica, un magma a bassissima temperatura e straordinariamente fluido che si comporta in modo diverso da qualunque altro flusso lavico. La vetta si erge a quasi 3.000 metri e domina la piana del Rift a sud del Lago Natron; il nome masai significa “Montagna di Dio”, e la sua silhouette scura è un simbolo potente per i popoli locali e un’attrazione per geologi e trekker.

La salita classica parte da un villaggio ai piedi della montagna (spesso da Engaresero o Olorbelin), si guida su piste rosse tra acacie e altopiani fino a un punto di partenza dove si affronta un sentiero ripido di pietra vulcanica nera. La camminata di norma dura 4–6 ore di salita (a seconda del punto di partenza e del ritmo), seguita da 2–3 ore di discesa. Le ore migliori per partire sono la tarda notte o le prime ore dell’alba: salire nel buio aiuta a evitare il caldo e permette di raggiungere il cratere al sorgere del sole, quando il vento cala e la luce rende drammatici i contrasti tra colate scure e pianure salate.

Pratiche e sicurezza: Ol Doinyo Lengai è un vulcano attivo — negli ultimi decenni ha avuto eruzioni documentate — perciò è fondamentale informarsi sulle condizioni aggiornate (guide locali, uffici del parco e touroperator affidabili). Non tentare di avvicinarti al cratere se ci sono emissioni o se le guide lo sconsigliano. Portare scarpe robuste, guanti, torcia frontale (per partenze notturne), sufficienti acqua e protezione solare; il terreno può essere sdrucciolevole e affilato, e il vento freddo in quota richiede uno strato isolante nonostante il clima caldo alla base.

Accompagnamento e permessi: salite guidate sono fortemente consigliate — per non dire obbligatorie — sia per sicurezza che per saper interpretare il paesaggio. Guide locali e portatori non solo conoscono i percorsi più sicuri, ma contribuiscono anche al reddito delle comunità masai. In molti casi è possibile combinare la salita a Ol Doinyo Lengai con un’escursione al Lago Natron nella stessa giornata o in due giorni, dormendo in camp o lodge vicino al lago.

Impatto e responsabilità: il territorio è fragile. Non lasciare rifiuti, rispetta le indicazioni delle guide e non raccogliere campioni di roccia senza autorizzazione. L’esperienza più autentica è quella che lascia intatto il paesaggio per chi verrà dopo di te.

Lago Natron, fenicotteri e paesaggi di sale

Il Lago Natron è forse il sito più iconico e “fotografico” dell’area: una larga depressione salina la cui superficie si tinge di rosso e arancio in stagioni calde grazie a microorganismi e alghe, mentre isole salate temporanee diventano siti di nidificazione per milioni di fenicotteri minori. L’acqua è estremamente alcalina e salina (pH elevato), il che la rende inospitale per molte specie ma perfetta per organismi specializzati; per i fenicotteri è un santuario che, per la sua durezza chimica, tiene lontani i predatori.

Cosa vedere: gli spettacoli più belli sono al tramonto o all’alba, quando il lago si accende di riflessi e le formazioni saline, le pozze termali e le sorgenti calde affiorano come “isole” lucenti. Le rive del lago offrono panorami di cristalli di sali, croste minerali che assumono forme surreali, e carapaci di pesci o uccelli morti calcificati che, nelle fotografie di alcuni autori, sembrano scolpiti dal lago stesso. Il lago è anche la base per numerosi avvistamenti di fenicotteri: in certe stagioni diventano una massa rosa che vive e nidifica sulle isole saline.

Accesso e alloggi: si raggiunge generalmente in fuoristrada da Mto wa Mbu o da Arusha tramite strade sterrate; molte visite sono organizzate con tour che includono il trasferimento, il pernottamento in camp tradizionali o lodge eco-friendly sulla sponda. Alcuni campeggi semplici (e spesso gestiti da comunità locali) permettono di passare la notte sotto cieli stellati impressionanti.

Sicurezza e limiti: non nuotare nel lago: il pH alto e le temperature locali possono provocare ustioni e danni agli occhi e alla pelle. Mantieni una distanza di sicurezza dalle sorgenti termali e non tentare di avvicinare gli uccelli durante la nidificazione (il disturbo può compromettere interi depositi d’uova). Vista l’assenza di infrastrutture diffuse, porta acqua, cibo e medicine di base.

Conservazione: il lago è un sito RAMSAR e riveste importanza internazionale per la migrazione e la riproduzione degli uccelli; la gestione turistica è ancora in fase di sviluppo, perciò supportare operatori locali e progetti di conservazione è un modo concreto per lasciare un segno positivo.

Gelai e i coni del Rift

Sulla sponda sud-orientale del Lago Natron si staglia il Gelai, un vulcano-scudo che raggiunge quasi 2.950 metri: la sua presenza, insieme a una serie di coni e colate più antiche, contribuisce a modellare una skyline densa di profili. Gelai, insieme ad altri rilievi del Crater Highlands, offre percorsi escursionistici meno affollati rispetto a Ol Doinyo Lengai ma altrettanto ricchi di panorami e di incontri con il modo di vivere locale.

Perché andare: dal Gelai e dai coni circostanti (alcuni spenti dall’epoca pleistocenica) si ottengono viste spettacolari su tutta la depressione del Natron e sulle Ande di lava che segnano il Rift. È il luogo ideale per fotografare l’alternanza di pianure saline, macchie di scrub e i profili netti dei vulcani contro il cielo. Escursioni a piedi o a cavallo, passeggiate con popolazioni masai per comprendere l’uso tradizionale del territorio e il pascolo, e visite a sorgenti termali locali sono attività possibili.

Logistica: molte piccole strade sterrate attraversano l’area; date le condizioni è preferibile viaggiare in 4×4 con un conducente esperto. Pernottamenti in tende o in semplici lodge di comunità sono comuni; alcune strutture offrono anche visite guidate da membri delle comunità che raccontano pratiche pastorali e storie del territorio. Portare binocolo, macchina fotografica, e molta acqua.

Geologia e natura: il paesaggio è una lezione a cielo aperto sul funzionamento della Rift Valley: colate, scorie, crateri e caldere testimoniano fasi diverse dell’attività vulcanica. Se sei appassionato di geologia, questa zona è un campo ideale per osservare contrasti tra vulcanismo recente e forme più antiche.

Accampamenti Maasai

Tra le distese aride e le montagne di fuoco del Rift tanzaniano, i villaggi Maasai rappresentano l’anima umana di un paesaggio dominato dagli elementi. Non c’è vulcano o lago alcalino che non abbia, poco lontano, un boma – il tipico accampamento circolare fatto di capanne di fango, sterco e rami intrecciati, protetto da recinti di acacia per il bestiame. È qui che i pastori Maasai, popolo semi-nomade di lingua nilotica, continuano a vivere secondo ritmi antichi, mantenendo un legame quasi mistico con la terra e con le loro mandrie, considerate dono diretto di Enkai, la divinità suprema.

L’esperienza di una visita a un villaggio Maasai nella regione del Lago Natron o ai piedi dell’Ol Doinyo Lengai è profondamente consigliata, ma va affrontata con sensibilità e rispetto. Questi non sono “villaggi turistici”, ma luoghi reali, abitati da famiglie che condividono il proprio spazio quotidiano con discrezione e orgoglio. Alcuni boma, in particolare lungo le piste tra Engaresero, Gelai e il margine orientale di Ngorongoro, accolgono visitatori accompagnati da guide Maasai, offrendo la possibilità di entrare in contatto diretto con una delle culture pastorali più iconiche e resistenti dell’Africa orientale.

Seduti accanto al fuoco, al centro del villaggio, si ascoltano i racconti dei guerrieri (moran), custodi del bestiame e difensori della comunità. Le donne, avvolte nei loro shuka rossi e blu e ornate di collane di perline, spiegano come vengono costruite le abitazioni e come si scandisce la giornata: la mungitura all’alba, la ricerca di pascoli, la preparazione del latte fermentato, la danza serale che celebra la coesione del gruppo. Tutto nella vita Maasai ruota intorno al bestiame — ricchezza, alimento, status sociale, legame spirituale con la terra e con gli antenati.

Ma l’incontro con i Maasai non è solo un tuffo nel passato: è anche la scoperta di una comunità che sta affrontando con dignità le sfide della modernità. Molti giovani studiano nelle scuole di Arusha o Karatu, alcuni sono diventati ranger, guide naturalistiche o imprenditori del turismo comunitario. C’è un forte impegno a difendere l’ambiente e i pascoli tradizionali, minacciati dalla siccità e dall’avanzata dell’agricoltura intensiva. In alcune zone, le donne Maasai hanno creato cooperative artigianali che producono gioielli e tessuti per sostenere l’educazione dei bambini e l’autonomia economica femminile.

Dal punto di vista del viaggiatore, trascorrere anche solo una notte in un camp comunitario Maasai è un’esperienza indimenticabile. Intorno a Natron, Maasai Giraffe Eco Lodge e Engaresero Camp offrono sistemazioni semplici ma suggestive, immerse nel silenzio delle pianure laviche. Alcuni lodge sostengono progetti di turismo sostenibile e devolvono parte dei profitti alle comunità locali. Al tramonto, i canti corali dei guerrieri risuonano sotto le pareti dell’Ol Doinyo Lengai, mentre il vento del Rift porta con sé l’odore di terra e fuoco.

Consigli pratici: Per visitare un villaggio Maasai è indispensabile essere accompagnati da una guida locale, preferibilmente Maasai, che faccia da mediatore culturale e consenta un approccio autentico e rispettoso. Le fotografie vanno sempre richieste con garbo: scattare senza permesso è considerato offensivo. È consigliabile portare piccoli doni utili (sapone, penne, quaderni) invece di denaro, o meglio ancora, acquistare direttamente l’artigianato prodotto dalle donne. Le visite organizzate da tour operator specializzati come African Explorer, che lavora da anni con le comunità locali, garantiscono esperienze etiche e sostenibili, evitando forme di sfruttamento turistico.

Come arrivare: Gli accampamenti Maasai della regione si trovano principalmente lungo le piste che collegano Ngorongoro a Lake Natron, attraversando Engaresero, o sul versante occidentale di Mount Gelai. Si raggiungono con fuoristrada 4×4, preferibilmente durante la stagione secca (da giugno a ottobre e da dicembre a febbraio), quando le piste sono praticabili. L’area è remota e priva di strutture moderne: è fondamentale viaggiare con rifornimenti adeguati di acqua e carburante.

Perché andarci: Perché nessun luogo, come un villaggio Maasai, riesce a restituire la connessione profonda tra uomo e natura che caratterizza il nord della Tanzania. Qui la terra è viva, il tempo scorre lento, e l’esistenza si misura ancora sul respiro degli animali e sulle stagioni. È un’esperienza che non si dimentica, capace di riconciliare il viaggiatore con l’essenziale e con la potenza primitiva del paesaggio africano.

Archeologia: le rovine agricole di Engaruka

A breve distanza dal bordo occidentale del Rift si trovano le imponenti rovine di Engaruka, un complesso di terrazzamenti, canali di irrigazione e muri risalenti all’età del ferro, che testimoniano una sofisticata agricoltura entroterra, strettamente legata alla gestione delle acque in un contesto riftico. Le strutture sono distribuite su un’area vasta e mostrano come comunità antiche avessero costruito sistemi per catturare e distribuire acque in un paesaggio modellato da processi vulcanici e climatici.

Cosa si visita: il sito non è un monumento “luccicante” ma un paesaggio archeologico che va camminato per capirne la scala: muri a secco, solchi, canaletti, e resti di insediamenti si leggono meglio con una guida locale o un archeologo. Le spiegazioni in loco aiutano a comprendere come il controllo e la gestione dell’acqua — in terre montuose e intrecciate dalla Rift — consentissero produzioni agricole significative, oggi testimoniate dalle piattaforme e dalle vasche.

Consigli pratici: Engaruka è relativamente isolata e richiede organizzazione logistica: prenota il trasferimento con anticipo, porta acqua, cappello e scarpe robuste; pianifica tempo per camminare e per incontrare le comunità locali che spesso condividono storie e conoscenze sul passato agricolo. Rispetta i siti: non spostare pietre, non accendere fuochi, e segui le indicazioni di tutela fornite dagli enti locali.

Perché è importante: visitare Engaruka è un modo per collegare la narrazione geologica dei vulcani alla storia umana: le eruzioni, le colate e i depositi hanno segnato i percorsi dell’acqua e la fertilità dei suoli, e le civiltà passate hanno imparato a vivere con questi fattori, sviluppando ingegnerie idrauliche sorprendenti.

Lago Eyasi e gli Hadza

Il Lago Eyasi, nella valle del Rift a sud-ovest del Serengeti e a ovest del bordo alto del Ngorongoro, è l’area dove vivono gli Hadza (o Hadzabe), uno dei pochi popoli ancora oggi organizzati su modelli di sussistenza basati sulla caccia e raccolta. Il contesto è strettamente connesso al paesaggio riftico: suoli sottili, acacie, boschetti di baobab e piccoli corsi d’acqua che segnano la stagione delle risorse. Gli Hadza rappresentano una testimonianza vivente di pratiche che si sono adattate millennialmente al mosaico ecologico del Rift.

Cosa aspettarsi: le visite agli Hadza vanno organizzate con sensibilità e rispetto: si possono incontrare i membri della comunità, assistere (con il loro permesso) a dimostrazioni di caccia con l’arco, raccolta di tuberi e uso di piante medicinali, e ascoltare canti e racconti tradizionali. Questi incontri possono essere profondi e istruttivi, ma richiedono regole etiche: niente foto senza consenso, compensi equi per il tempo della comunità, e nessuna imposizione di beni o denaro che possano alterare il loro stile di vita.

Consigli pratici: visita con operatori che lavorano in modo etico e che reinvestono parte dei proventi nelle comunità Hadza. Evita scambi che sfruttino la curiosità antropologica del turista; preferisci tour che includano contratti chiari con i leader locali. Porta regali utili (medicinali di base, rasoi, lampadine solari) solo dopo aver concordato la cosa con gli organizzatori e le stesse comunità. Rispetta il loro ritmo: spesso sono nomadi stagionali e la disponibilità a incontrare i visitatori cambia con le stagioni e le necessità di caccia.

Impatto culturale: il turismo può dare reddito e visibilità, ma rischia anche di trasformare pratiche tradizionali in “spettacolo”. Scegli operatori che favoriscono progetti di empowerment, educazione e tutela della terra, e considera il contributo a iniziative di conservazione che rispettino autonomia e diritti degli Hadza.

Consigli pratici e informazioni essenziali

La Tanzania settentrionale, tra Ol Doinyo Lengai e le saline del Natron, offre alcuni dei paesaggi vulcanici più spettacolari e meno convenzionali d’Africa: è un viaggio che parla di roccia ardente e di acque alcaline, ma anche di resilienza umana. Viaggiare qui significa misurarsi con spazi vasti, luci accecanti e culture complesse: farlo con rispetto, curiosità e responsabilità rende l’esperienza indimenticabile — e utile per le persone che la vivono ogni giorno.

  1.  Quando andare                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Il periodo migliore per esplorare il Lago Natron e il vulcano Ol Doinyo Lengai va da giugno a ottobre, durante la stagione secca: le piste sono percorribili, i panorami limpidi e le escursioni più agevoli. Nei mesi delle piogge (marzo-maggio) alcune strade diventano fangose e inaccessibili.
  2. Come arrivare
    L’area è remota e isolata. Il punto di partenza ideale è Arusha, raggiungibile con voli da Dar es Salaam o Kilimanjaro. Da qui, servono 6-8 ore di fuoristrada per raggiungere il Lago Natron, passando da Mto wa Mbu o Engaruka. È essenziale affidarsi a un autista esperto e a un veicolo 4×4.
  3. Con chi andare
    Per un viaggio sicuro, organizzato e culturalmente ricco, la soluzione migliore è affidarsi a African Explorer, tour operator italiano specializzato in viaggi nel continente africano. Offre itinerari su misura che combinano natura, avventura e incontri autentici con le comunità locali, inclusi i Datoga e gli Hadza.
  4. Documenti e visti
    Per entrare in Tanzania è richiesto il passaporto con validità residua di almeno 6 mesi e un visto turistico (50 USD) che può essere ottenuto online o all’arrivo in aeroporto. È raccomandato anche un certificato di vaccinazione contro la febbre gialla se si proviene da Paesi a rischio.
  5. Sicurezza e salute
    La zona è tranquilla, ma remota: portare con sé un kit medico di base, repellenti antizanzare, crema solare e abbondante acqua potabile. Si raccomanda la profilassi antimalarica e la massima prudenza durante i trekking o le scalate, specie verso Ol Doinyo Lengai. Tenersi informati sulla situazione di sicurezza generale del Paese tramite il sito Viaggiare Sicuri.
  6. Dove dormire
    Lungo la Rift Valley si trovano campi tendati e lodge eco-sostenibili, spesso gestiti da comunità Maasai. Sul Lago Natron, il Natron River Camp e il Lake Natron Tented Camp offrono sistemazioni confortevoli e viste mozzafiato. Le strutture sono semplici, ma immerse in scenari grandiosi.
  7. Cosa portare
    Abiti leggeri e traspiranti per il giorno, felpe o giacche per la sera (le temperature possono scendere notevolmente), cappello, occhiali da sole, scarponcini da trekking, torcia frontale e sacchetti stagni per proteggere attrezzatura fotografica e documenti dalla polvere o dall’umidità.
  8. Trekking e scalate
    La salita al vulcano Ol Doinyo Lengai (2.962 m) è impegnativa e richiede ottima forma fisica: l’escursione parte di notte e dura 10-12 ore tra andata e ritorno. È obbligatorio farsi accompagnare da una guida locale autorizzata. Portare guanti, bastoncini e molta acqua.
  9. Interazione con i Maasai
    Molti itinerari prevedono una sosta nei villaggi Maasai di Engaresero o Ngare Sero. È bene mostrarsi rispettosi: chiedere sempre il permesso prima di scattare fotografie e contribuire all’economia locale acquistando artigianato o partecipando a iniziative comunitarie.
  10. Gli incontri con gli Hadza e i Datoga
    Nei pressi del Lago Eyasi è possibile visitare gli Hadza, cacciatori-raccoglitori che vivono ancora di caccia e raccolta, e i Datoga, abili fabbri e pastori. È un’esperienza straordinaria ma da affrontare con sensibilità, accompagnati da guide che conoscano lingua e consuetudini locali.
  11. Ambiente e rispetto della natura
    La regione del Natron è un ecosistema fragile: è essenziale non lasciare rifiuti, non avvicinarsi troppo alle colonie di fenicotteri, camminare solo sui sentieri tracciati e limitare il consumo d’acqua. La sostenibilità è parte integrante dell’esperienza.
  12. Fotografia e attrezzatura
    La luce della Rift Valley è incantevole: all’alba e al tramonto i paesaggi assumono tonalità irreali. Portare batterie di riserva e schede di memoria extra, poiché non sempre c’è elettricità per ricaricare. Un teleobiettivo è utile per osservare gli animali e i dettagli vulcanici.
  13. Prolungare il viaggio
    Chi ha tempo può estendere l’itinerario includendo Ngorongoro, Serengeti o il Tarangire National Park: distano poche ore di pista dal Natron e offrono un’esperienza naturalistica complementare, tra grandi migrazioni e fauna africana.
    Con African Explorer, è possibile costruire un viaggio completo e personalizzato che unisca i vulcani del Nord alle savane del Serengeti, fino alle coste di Zanzibar.

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