A Bukavu, nel cuore del Congo, suor Natalina Isella accoglie e salva le piccole vittime della superstizione. Nella casa Ek’abana offre rifugio, istruzione e dignità a chi il mondo ha condannato. Una battaglia quotidiana contro la paura e l’ignoranza.
Bukavu, Sud Kivu. Dalla veranda della casa Ek’abana si vedono le colline che digradano verso il lago Kivu, e più in là il confine invisibile con il Ruanda. È qui che vive e lavora, da quasi mezzo secolo, suor Natalina Isella, missionaria laica lecchese, una donna minuta e sorridente che ha dedicato la vita a salvare bambine accusate di stregoneria.
Le chiamano enfants sorciers, bambini stregoni. Ma, come dice lei, «l’unica maledizione è la miseria, non la magia».
L’inferno dietro l’accusa
In Congo l’accusa di stregoneria è una piaga sociale. Colpisce migliaia di minori ogni anno. Basta un lutto, una malattia, un raccolto andato male: e qualcuno indica un colpevole. Spesso è una bambina.
«Una volta mi hanno portato una piccola di sette anni. Dicevano che aveva ucciso la madre con lo sguardo. L’avevano bruciata con la plastica fusa per “purificarla”», racconta suor Natalina con voce ferma. «Quando è arrivata, non parlava più. Aveva paura anche dell’acqua. Ci sono voluti mesi prima che tornasse a sorridere».
In molte famiglie, la superstizione diventa un modo per giustificare la povertà e il dolore. «È la paura, insieme alla miseria, che alimenta tutto questo», spiega. «I genitori si convincono che un figlio possa essere la causa dei loro guai. A volte sono i pastori di certe sette religiose a fomentare queste credenze: organizzano riti di espiazione, chiedono soldi, promettono guarigioni. E le vittime, sempre, sono i più piccoli».
La nascita di Ek’abana
Nel 2002, di fronte al numero crescente di bambine cacciate di casa e abbandonate per strada, suor Natalina apre Ek’abana, che in lingua swahili significa “Casa dei bambini”.
«Non era nei miei piani», sorride. «Io lavoravo con le donne e i bambini di strada. Poi un giorno ho incontrato una bambina che dormiva sotto un camion. Mi ha detto: “Sono una strega, mamma non mi vuole più”. Lì ho capito che non potevo restare ferma».
All’inizio c’erano solo nove bambine. Poi quindici, cinquanta, cento. Oggi Ek’abana è una casa accogliente con aule, dormitori, un orto, una piccola scuola e un laboratorio di sartoria. Le bambine vengono accolte, curate, istruite e, quando possibile, reinserite nelle loro famiglie.
«Ne abbiamo salvate più di ottocento in questi anni» dice suor Natalina. «Alcune sono tornate a casa, altre sono rimaste con noi, altre ancora oggi lavorano come educatrici o infermiere. È la prova che un destino può cambiare».
“Mi hanno detto che ero il diavolo”
Molte storie sembrano uscite da un incubo.
Grace, 10 anni, è arrivata a Ek’abana dopo che lo zio l’aveva accusata di “mangiare i sogni” del fratellino. «Mi hanno portato da un pastore» racconta la bambina, voce sottile ma decisa. «Mi hanno fatto bere olio e sale, poi mi hanno legata. Dicevano che dovevo sputare il male. Quando sono svenuta, mi hanno lasciata lì». Ora frequenta la quarta elementare e sogna di diventare maestra.
Un’altra, Aline, aveva solo sei anni quando la madre la accusò di essere la causa della morte del padre. «Quando l’ho trovata», ricorda suor Natalina, «era seduta in un angolo, con lo sguardo perso. Non parlava. Oggi canta nel coro della scuola e disegna cuori ovunque. È la sua rivincita».
La pedagogia del perdono
Oltre all’assistenza materiale, Ek’abana lavora sulla guarigione spirituale. «Il trauma è profondo» spiega la missionaria. «Una bambina accusata di essere una strega viene uccisa dentro. Per sopravvivere, spesso finisce per crederci davvero. Per questo, la prima cosa è ridarle fiducia: farle capire che è innocente, che è amata, che ha valore».
Ogni giorno, le educatrici — molte ex ospiti della casa — lavorano con pazienza per costruire relazioni, ristabilire il senso di appartenenza, trasformare la paura in speranza.
«A Ek’abana insegniamo a perdonare. Non è facile, ma è l’unico modo per ricominciare» dice suor Natalina. «Cerchiamo di aiutare anche le famiglie: andiamo a parlare con i genitori, con i pastori, con i capi quartiere. A volte tornano a chiedere scusa. Quando succede, è una festa».

Una lotta contro l’indifferenza
La missione, però, è anche una battaglia contro l’indifferenza. «Il mondo non sa cosa accade qui» sospira. «Nessuno parla di queste bambine. Ogni giorno ce n’è una nuova, picchiata, cacciata, bruciata. Eppure continuano ad arrivare, e io non posso dire di no. Perché se non le accogliamo, chi lo farà?»
Suor Natalina non nasconde la fatica. «A volte penso di non farcela più» ammette. «Poi guardo i loro volti, i loro disegni, i quaderni colorati. E mi dico che vale la pena restare. Ho 70 anni, ma dentro mi sento ancora in cammino».
La forza del noi
Tra le mura di Ek’abana, la solidarietà è concreta. Le più grandi si prendono cura delle piccole, cucinano insieme, coltivano l’orto, imparano a leggere, a contare, a cucire. La casa vive di donazioni, del lavoro volontario di alcuni giovani congolesi e del sostegno di amici italiani.
«Io sono perché noi siamo» ripete spesso suor Natalina, evocando il principio africano dell’ubuntu. «È questa la filosofia di Ek’abana: nessuno si salva da solo. Né io, né loro».
Al tramonto, mentre il cielo di Bukavu si tinge d’arancio, nel cortile della casa risuona un coro di voci. Le bambine cantano una canzone che parla di rinascita. «È la loro preghiera» dice Natalina. «Cantano per ringraziare, ma anche per ricordare che la luce vince sempre sul buio».
Una speranza che continua
Oggi molte ex ospiti di Ek’abana lavorano come insegnanti, infermiere, artigiane. Alcune sono diventate madri e portano i loro figli a conoscere “maman Natalina”.
«Quando una di loro torna e mi dice “mi avete salvata”, allora capisco che non ho sbagliato strada» confida. «Io non ho fatto miracoli, ho solo ascoltato il dolore. Ma in quel dolore ho trovato Dio».
E aggiunge, con la calma di chi ha imparato a guardare oltre: «Non mi sono mai chiesta chi me l’ha fatto fare. Perché l’amore non si spiega, si vive».
COME AIUTARE EK’ABANA
La casa-rifugio Ek’abana vive grazie al sostegno di chi crede nella missione di suor Natalina Isella.
Chi desidera contribuire può farlo tramite il portale del Movimento per la Lotta contro la Fame nel Mondo (MLFM):
👉 www.mlfm.it/sostieni-casa-ekabana
Ogni donazione — piccola o grande — aiuta a salvare una bambina, a restituirle un nome, un sorriso, un futuro.
Didascalie e crediti delle foto:
foto di apertura: Natalina Isella con due piccole ospiti della sua casa – courtesy Francesco Cavalli (coautore del film African Dreamers)
foto interna: La missionaria con un Padre Bianco – courtesy Marco Trovato
foto interna: Un esorcismo in una chiesa congolese – courtesy Marco Garofalo (mostra One Day in Africa della Rivista Africa)
